RTS e free to play, che bestemmia!

Un paio di giorni fa ho scoperto quasi per caso che il “reboot” della gloriosa serie Command & Conquer, che prevedeva il rilancio della serie con la formula free to play, è stato annullato completamente, irrevocabilmente, irrimediabilmente e per giunta senza passare dal via. Con mio grande rammarico, iscritto alla beta-list (scopro solo ora rileggendo l’e-mail originale) dal lontano 2011, ho appurato che il progetto è stato definitivamente abbandonato senza neanche un minuto di open beta. Per nessun utente. Tutto avviene rapidamente e un po’ in sordina con una triste lettera aperta di Victory Games, affiliato di mamma EA che aveva l’incarico di creare il gioco, scritta nell’ottobre del 2013, in cui si legge che il nostro messaggio (di noi giocatori) è chiaro: “non stiamo creando il gioco che volete”. Fine della storia. Libro chiuso e riposto in cantina.
Ah, certo, mamma EA si flagella e si scusa con rammarico sommo per la perdita di immagine che ne deriva e promette il rimborso di tutti i soldi spesi. Ma questo accadeva nella fase di apogeo della campagna di rilancio del marchio C&C… C’è qualcosa che mi sfugge.

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Capirete bene il mio stupore, più grande e cocente di qualsiasi delusione possibile: ormai non sono più un ragazzino e posso sopportare la cancellazione di un videogioco come la perdita di uno scontrino del bar, ma per questi signori che fanno quattrini su questa roba deve essere stato un disastro completo per arrivare a tanto. Inoltre è ancora più sorprendente se pensate che il gioco, in fine dei conti, non sembrava affatto male e sembrava addirittura poter correggere il tiro di quel Command & Conquer: Generals originale che sembrava un po’ una falsa (ri)partenza. Nelle dinamiche il gioco somigliava molto a StarCraft e l’interfaccia era ben fatta, la grafica non era male e sfruttava bene le possibilità tecniche permesse al giorno d’oggi. Una delle cose più criticate era proprio l’introduzione di quelle super-armi necessarie a giustificare qualche acquisto in-game, ma che proprio per la loro capacità di sbilanciare in modo assoluto una partita suggerivano non tanto un’aggiunta posticcia ma una tardiva conversione del gioco a F2P.

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Così, con questo fallimento cocente, bisogna probabilmente arrendersi all’idea che la formula del free to play è un ambito pericoloso per gli RTS, genere che peraltro è già in crisi per via del pubblico moderno, più incline a formule ibride quali action-RTS, RT-RPG, eccetera. L’ostacolo che mina questo binomio, secondo me, risiede nella natura degli RTS, giochi simmetrici che necessitano di essere perfettamente bilanciati e che sono facilmente attaccabili in questo delicato equilibrio da contenuti acquistabili in grado di favorire una delle parti. Inoltre sospetto che nessun giocatore ancora dedito al genere sia disposto a “rischiare” di rovinarsi uno scontro a causa di qualche euro speso in più… A conti fatti, a conferma di quanto sostengo, Command & Conquer diventa il terzo grande nome del genere a fallire ed addirittura il secondo a farlo prima ancora del lancio ufficiale.

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E allora parliamo un po’ di questi tentativi falliti perché al di là del regalo di Valve con Dota 2 (di cui ammetto non ho idea se esista un predecessore …e che poi tanto RTS non è) e la versione starter di StarCraft II (di cui non voglio parlare) voluta da Blizzard non ci sono molti galli in questo pollaio.

Innanzitutto mi sovviene il caso di  Company of Heroes Online, esperimento di Relic e THQ che avviarono la fase beta nel 2010, che nonostante la grande solidità del marchio e il vivo apprezzamento dei giocatori per la serie fallì nel giro di pochissimi mesi (giusto il tempo necessario al sottoscritto a scoprirne l’esistenza e ad ottenere un pass gratuito inutilizzabile) chiudendo nel primo trimestre del 2011. I giocatori furono molto delusi proprio dall’esperienza di gioco e sostennero con veemenza che non era possibile fornire potenziamenti così decisivi nel gioco. I problemi di bilanciamento furono tanti e tali che in molti, ovviamente, preferirono prendere il gioco originale su Steam, peraltro disponibile a prezzo vantaggioso.

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Il secondo tentativo fu quello di Microsoft con Age of Empires Online, gioco che probabilmente poteva essere un anonimo browser game se non avesse avuto alle spalle un marchio tanto solido (forse il più solido in assoluto). Sviluppato inizialmente da Robot Entertainment, nati dalle ceneri dei gloriosi Ensemble Studios autori della serie Age of Empires originale, il gioco passò nelle mani di Gas Powered Games (oggi assorbiti nella macchina di wargaming.net) per lo sviluppo degli aggiornamenti e delle migliorie. La struttura univa una versione semplificata del gameplay di Age of Empires II, con una gestione della città in stile Farmville (browser game in cui non bisogna far altro che cliccare qui e là). Il gioco venne accolto con grande diversità di opinioni, soprattutto a causa di problemi sul piano del bilanciamento, ma a far fallire definitamente il progetto fu plausibilmente il modello di micro-transazioni: in effetti non micro (ogni pacchetto andava dai 10 ai 30 dollari) e troppo modulare. A tutti gli effetti più che un gioco free to play era un’ingombrante demo in attesa di essere completata acquistando le varie civiltà, unità e strutture.

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Come se non fosse abbastanza il gioco necessitava di Games for Windows Live per l’autenticazione ed il multiplayer. Nonostante mamma MS si sia impegnata nel tenere vivo il prodotto aggiornandolo e migliorandolo per anni nel corso del 2013 venne annunciato lo shutdown progressivo che si concluse dopo l’estate con la chiusura dello sviluppo. Nell’estate del 2014, in concomitanza con la chiusura del progetto Games for Windows Live, il gioco è definitivamente morto.

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Per chiudere con questa serie di disastri voglio citare End of Nations, uno di quei ibridi di cui avevo già accennato che lo studio Petroglyph (nato da alcune personalità della defunta Westwood Entertainment) aveva annunciato nel 2010 come MMORTS fantascientifico pubblicato da Trion Worlds. L’idea originale era quella di assiepare dentro un’unica partita fino a 52 giocatori in vena di scontrarsi con la parvenza di strategia in tempo reale. Già dalla descrizione sembrava un gioco caotico…

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La fase di beta simil-open (bisognava iscriversi ed incorciare le dita, i giocatori venivano abilitati a lotti) durò tutta l’estate del 2012 e durante questo periodo il gioco fu massacrato da stampa, pseudo-esperti, giocatori qualunque. Trion decise quindi di sollevare Petroglyph dallo sviluppo ed affidarsi ai suoi studi interni per cambiare la rotta e tentare di rimediare al grave errore di valutazione commesso. Un anno di intenso lavoro e due fasi di closed beta più tardi, venne dunque rilasciato al pubblico (addirittura con un basso profilo) il risultato rimaneggiato per farne un “MOBA tattico” (che è una definizione per la quale mi affido ai più giovani). Fu un flop che potete benissimo valutare andando sul sito ufficiale, offline da circa sei mesi.

Probabilmente quello che non ha funzionato è che nessuno di questi giochi, con le sue simpatiche ibridazioni, è stato in grado di eguagliare l’esperienza degli RTS tradizionali. Nessuna formula è riuscita a catturare ed entusiasmare il pubblico e probabilmente neppure quest’ultimo, profilato come una massa di pigri e annoiati giocatori, hanno voglia di perder tempo con giochi privi dello spessore tattico/strategico di un Command & Conquer. Magari un giorno arriverà l’idea giusta… Ma sono preoccupato perché, al momento, che questo binomio RTS-free to play suona come una bestemmia e il mercato non vuole saperne di togliersi questo chiodo fisso del giocare (fintamente) gratis. Me compreso.