Apollo

Per chi mi conosce è naturale sentir parlare di musica Eno, piuttosto che di musica ambient: non sono mai stato un patito dell’ambient in generale e di tutto quello che, a forza o a ragione, viene classificato secondo questa etichetta. Il buon Brian, però, ha qualcosa in più, qualcosa che spinge ad ascoltare le sue creazioni, ad assorbire ogni singola goccia delle sue liquide linee musicali. E questa necessità stringente e dolorosa, quasi fisica, esplode nella mente come una fiamma multicolore quando si accendono le note di album come questo Apollo. Rutilante esempio del suo genio, della sua visione interiore così distante dalla gretta condizione della gente comune.

Apollo non è un semplice album di musica ambient, come viene classificato per mere necessità di vendita, ma un biglietto di ingresso per le calme immensità siderali, un portale per elevare la mente in una dimensione differente e lontana dal proprio corpo, varcando le soglie di mondi nuovi e sconosciuti.

Se non avete mai avuto la sensazione di espandere la mente al di fuori del vostro corpo terreno vi consiglio vivamente di provare: meglio al crepuscolo, un posto calmo, un paio di cuffie o auricolari, cellulare spento.

Una volta avviata la musica, le sonorità colme di vuoto, la soffocante sensazione di lontananza, l’angoscia di “Under Stars” vi catapulteranno tra i colori opprimenti di confini impossibili ed inesplorati. Sin dalle prime battute verrete scaraventati in una dimensione fatta di assenza, e se avrete il coraggio di chiudere gli occhi potreste addirittura avvertire la vostra anima contrarsi mentre prende coscienza delle mute vastità che la circondano, fredde e buie, eppure così placide ed invitanti.
Poi “The Secret Place”, scritta da Lanois, e “Matta” vi accompagneranno là fuori, in quelle immensità su cui la prima traccia ha aperto varchi ammiccanti e vi lasceranno galleggiare privi di peso, di forma, di sostanza.
Una lontana sensazione del cuore che bussa fievole e lontano, alle porte della vostra percezione, sarà l’unico barbaglio della vostra reale condizione di esseri umani.

Poi, finalmente, la luce. L’esplosione di calore di “An Ending (Ascent)” vi regaleranno le maestose meraviglie lontane di universi inesprimibili. Tutto apparirà privo di peso, i confini fisici non avranno più senso e le note non saranno più neanche tali: il prodotto del genio di Eno e Lanois non avrà più forma o melodia, non ci saranno strumenti e strumentisti, resterà soltanto la magia.

Soltanto quando avrete ascoltato tutte le tracce del disco, quando sarà tutto finito e avrete riaperto gli occhi vi accorgerete di aver lasciato voi stessi per circa un’ora e di aver vagato in una dimensione più grande, più alta, dipinta dalla vostra mente. Il merito è tutto di quei due (tre, in realtà) signori che hanno confezionato tutto quello che vi ho raccontato…
Non mi resta che confessarvi che si tratta di un album creato come colonna sonora di un documentario sulla omonima missione spaziale di NASA, diretto da Al Reinert e commissionato proprio dall’ente spaziale americano per l’uomo comune (tant’è che venne poi distribuito con il nome di “For All Mankind”). È indiscutibile che veder sorgere la Terra sull’orizzonte lunare è un’immagine spettacolare, che toglie il fiato, ma se accompagnata da “Silver Morning” diventa indimenticabile, come se fossimo stati anche noi lì, a compiere quel grande passo per l’umanità.