Lo strumento degli angeli

Sembra passato un decennio da quando eravamo un affiatato gruppo di pazzi che si riuniva quotidianamente in voice chat per discutere della propria giornata scaldando le dita prima di un’allegra partita tutti insieme… Sembra passato un secolo da quando Fonzolo mi regalava l’angolo di giupmat, “il posto più alcoholico dove mettere il naso”. E sembra passato un secolo da quando popolavo quel mio antro intellettuale con le mie nodose elucubrazioni su noi stessi, sul gruppo, sulle prestazioni, sulle statistiche. E in quel secolo ormai passato, ricordo, passavo sovente i miei momenti liberi a rincorrere pigramente i miei pensieri, lasciando al contempo che le dita vagassero sulla tastiera vomitando scomposti testi poi pubblicati nel suddetto angolo. In realtà spesso, molto spesso, le cose che scrivevo finivano direttamente nel cestino di joomla (maledetto …ndrabbia) senza che nessuno le leggesse e senza che qualcuno oltre ai membri dell’ACR avesse neppure notizia della loro creazione. In qualche raro sprazzo di lucidità riuscivo però a tirar fuori dal cilindro qualche articolo degno di pubblicazione, come quell’excursus su Sua Maestà la Chitarra Resofonica.
E voglio riprovarci perché lei, oltre che essere lo strumento a cui sono legato da affinità elettive, oltre a rappresentare nel mio immaginario la massima espressione della vera America, oltre ad essere una prepotente deviazione blues per tutta la musica che vi viene riprodotta, è la mia lei, la mia donna, il mio mondo. Purtroppo, proprio come mi accade con la controparte umana, non riesco a gestire il rapporto come vorrei per cui mi limito a vivere quello che posso senza sperare di condividere di più… anche se questo limitarsi è per me fonte di amarezza. Eppure ho sempre detto e scritto che se esistesse un Paradiso e fosse popolato da angeli, nell’atmosfetra ci sarebbero sempre delle note provenienti da questo nobile strumento a commentare l’Eternità che scorre via. Questa è un’immagine che mi porto dietro da tanti anni… forse addirittura da quando ero ancora un credente e speravo che ci fosse un Dio buono e misericordioso a curare le nostre stupide e grigie esistenze…

Il marchio Dobro e la chitarra resofonica nascono negli Stati Uniti negli anni venti, partoriti dal genio dei fratelli Dopyera (da cui Dopyera Brothers, Do-Bro), quattro emigranti cecoslovacchi trasferitisi in California. L’intento con cui questi simpatici signori crearono la mia donna era quello di rispondere all’esigenza, molto sentita negli anni Venti, di avere chitarre dal suono carico di sustain e dal volume tale da competere con i fiati e le percussioni tipiche del nascente periodo jazz. E l’idea dei Dopyera brothers fu diabolicamente semplice: inserire un risonatore all’interno della chitarra, un cono in metallo dalla foggia molto simile ad un altoparlante che sostenesse meccanicamente la vibrazione della cassa e ne aumentasse la capacità di propagazione. Ancora oggi è facile capire in quale epoca è stato inventato questo strumento: nonostante gli anni e le mode, l’estetica delle reso racconta le evoluzioni dell’art-deco attraverso le eleganti cromature delle hubcap e dei pie plate.

Nei successivi anni Trenta, col grande successo della musica hawaiiana, risaltò all’attenzione delle masse la peculiare tecnica chitarristica dell’uso di un pesante slide in metallo da utilizzare tenendo la chitarra stesa sulle ginocchia. I fratelli Dopyera, evidentemente colpiti ed attratti dalla cosa, innovarono ancora realizzando, parallelamente alla loro ormai famosa chitarra, anche una chitarra hawaiiana con risonatore. Nel pieno rispetto della filosofia hawaiiana, il nuovo modello era concepito con un manico a sezione rettangolare, il cosiddetto “squareneck”, e una action delle corde molto alta, in modo da consentire volume e pulizia di suono maggiori, dato l’uso con lo slide. Il diffondersi poi delle band hillbilly e country-western, negli anni ’30 e ’40, permise una diffusione rapida e capillare di queste chitarre, che sembravano essere costruite apposta per le sonorità di tali generi. Successivamente, verso la metà degli anni ’50, un musicista di nome Buck Graves, amico e dipendente del leggendario innovatore del banjo Earl Scruggs, unì questo approccio hillbilly-hawaiian con i licks country blues e con i tipici “banjo rolls”, gettando le basi per l’attuale chitarra resofonica bluegrass. Più recentemente lo stile di Buck Graves è stato rifinito e sviluppato da musicisti del calibro di Mike Auldridge e Jerry Douglas, le due vere pietre miliari per il “bluegrass Dobro”.

Le chitarre resofoniche si dividono anzitutto in due grandi categorie: le “roundneck”, caratterizzate da un normale manico da chitarra, e le “squareneck”, che hanno un manico a sezione rettangolare fatto proprio per ottimizzare la suonabilità e la resa sonora nell’uso dello slide. La paletta, per entrambe le versioni dello strumento è di forma convenzionale, con tre meccaniche per lato. È per lo più di forma rettangolare e può essere piena, con le chiavette delle meccaniche rivolte verso l’esterno, oppure slotted, ovvero con le due scanalature centrali, come sulle chitarre classiche e sulle vecchie acustiche tipo “triplo zero”, con meccaniche a perno passante e chiavette rivolte all’indietro. Sui modelli squareneck non è infrequente trovare una paletta slotted con le chiavette delle meccaniche rivolte verso l’alto, disposizione che ne rende l’uso molto più pratico e immediato.

Un altro aspetto utile alla classificazione delle dobro è la configurazione dei risonatori: esistono, infatti, strumenti dotati di un unico grande cono (il cui diametro oscilla generalmente attorno ai 10 pollici) e strumenti provvisti di tre coni di dimensioni inferiori (i cosiddetti Tricone). Il cono è alloggiato all’interno del corpo della chitarra ed è ancorato al soundwell, una struttura cilindrica con fori laterali di dimensioni generose; il suo nome sembra suggerirne l’importanza per la proiezione sonora dello strumento. A seconda dei modelli il cono è orientato in alto o in basso, con rimarchevoli differenze nella sonorità finale.

Ogni chitarra resofonica, dunque, ha il ponte di un certo tipo in conseguenza della configurazione dei coni: si parla, perciò, di biscuit o spider. Nei modelli con il cono rivolto verso il basso, il ponte ha una base rotonda in acero su cui è incollata una selletta in ebano, è incollato direttamente al centro, nel fuoco del cono; è situato, facendo un paragone, dove i comuni altoparlanti hanno il magnete. La sua forma tonda e tozza gli è valsa il nome di biscotto. Nei modelli che presentano il cono rivolto verso l’alto il ponte, invece, è “sospeso” al centro dell’apertura del cono mediante una struttura a ragnatela in alluminio. Proprio per la sua forma familiare ad un aracnide viene definito spider.
Cono e ponte sono protetti da piastre circolari in metallo cromato dette coverplates, che hanno un look molto anni Venti. Per favorire la proiezione sonora sia diretta, quella che si trasmette dal cono verso l’esterno, che indiretta presentano aperture intagliate di varie fogge. Generalmente le dobro biscuit hanno coverplates con aperture più piccole, le cosiddette diamond e chickenfoot, rispetto alle pie plate (decorazione a torta) molto diffuse sulle dobro spider. La risonanza della cassa, invece, fuoriesce da bocche del top: attraverso effe, esattamente come nel violino, o fori circolari (soundholes).

Parlando di risonanza, non ci resta che affrontare la parte più sostanziale della questione: il materiale costruttivo del corpo dello strumento. Oltre ad essere l’aspetto di maggior impatto visivo, notevole anche per i distratti, è il fulcro di una annosa ed accesa questione dibattuta oltremodo da strumentisti e liutai di tutto il mondo. La dobro nasce in legno ma nel giro di pochi anni ne viene sviluppata una versione in ottone cromato (bell brass). Tralasciando la ovvia differenza estetica e quella ben più prepotente in termini di peso, il risultato che si ottiene propagando la vibrazione delle corde, oltre che dal risonatore in alluminio, da una cassa armonica in ottone è senz’altro differente da ciò che si ottiene con una cassa in legno (generalmente mogano). Il mogano, infatti, è un legno molto caldo, che genera un suono di grande presenza, carico di frequenze medie, e questa sua caratteristica rende le dobro in legno adatte alla musica bluegrass e country; ben diversa è la resa degli strumenti in metallo che, pur senza perdere profondità di bassi, hanno un suono molto più edge, preciso e acuto, adatto ai lamenti del blues ed alle esigenze (specie in agilità sonora) del blues-fingerpicking.

Ciò che subito salta all’attenzione del chitarrista che si avvicina per la prima volta ad una resofonica sono la tipologia di corde e la particolare accordatura. Questo strumento, infatti, impiega corde di particolari scalature sia per esigenze di volume che per ottenere un tiraggio corretto e viene generalmente suonato in accordature aperte, per esigenze di timbro e di usabilità con il ditale. Le accordature più usate sono senz’altro l’open D per le roundneck e l’open G per le squareneck, anche se è superfluo precisare che se ne utilizzano tante altre, ognuna con le sue peculiarità.